La bicicletta non è la soluzione. È uno strumento di un sistema più grande

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Negli ultimi anni la bicicletta è diventata il simbolo più immediato della sostenibilità urbana. Semplice, accessibile, a impatto quasi nullo: pedalare sembra la risposta a molti dei mali delle nostre città. Ma è davvero così? La verità è che la bici non è la soluzione universale. È parte di un sistema più ampio, che deve essere progettato con realismo, equilibrio e rispetto per le persone.

I limiti della bicicletta

Andare in bici fa bene, ma non è adatto a tutti. Chi soffre di lombalgia o dorsalgia, ad esempio, non può affrontare lunghi tragitti senza conseguenze sulla salute. Inoltre, la bicicletta è poco utile per spostamenti lunghi o per il trasporto di carichi, e richiede spesso l’integrazione con altri mezzi di trasporto pubblico.

C’è poi un problema di infrastrutture: senza piste ciclabili sicure, senza norme come il contromano ciclabile già diffuso in alcune città europee, la bici resta un’opzione rischiosa o poco praticabile.

Perfino il mercato delle due ruote mostra i suoi limiti: nel 2024 il settore ciclistico ha affrontato una crisi di sovrapproduzione e calo della domanda, a dimostrazione che anche la mobilità ciclabile non è immune da squilibri.

Perché la bici resta importante

Questo non significa che la bicicletta non abbia un ruolo fondamentale. Pedalare riduce le emissioni, non consuma combustibili fossili, abbatte il rumore urbano. È attività fisica che migliora il cuore, il metabolismo, la qualità della vita. È un mezzo trasversale, adatto a tutte le età, purché si rispettino limiti fisici e condizioni di sicurezza.

In altre parole, la bicicletta è un potente strumento di consapevolezza. Non la bacchetta magica che risolve tutto, ma un tassello di un progetto di mobilità sostenibile.

La vera sfida: città e territori

Il punto è che la bici non può essere vista come scorciatoia. Prima ancora di moltiplicare ciclabili, serve ripensare il modello urbano.

Una famiglia che vive lontano dai luoghi di lavoro, di svago o di istruzione non può affidare la propria quotidianità solo alla bici. Non per mancanza di volontà, ma per una questione di tempi, distanze, necessità reali. La mobilità di una città complessa non può ridursi a una pedalata: deve integrare mezzi pubblici efficienti, servizi capillari e soluzioni che tengano conto delle diverse fasi della vita delle persone.

Eppure oggi il trasporto pubblico, in molte città italiane, è saturo, non sempre pulito, spesso in ritardo. Organizzare la vita di una famiglia attorno a un sistema inefficiente significa aumentare le difficoltà, non ridurle.

Ecco perché la bicicletta arriva dopo un progetto più ampio: città e territori ripensati per integrare trasporto pubblico, mobilità privata, logistica e spazi per le persone. Solo così pedalare diventa una scelta naturale e non un’imposizione ideologica.

Oltre l’ideologia: equilibrio vero

Il rischio più grande, oggi, è quello di trasformare la sostenibilità in dogma. Dire “basta auto” senza offrire alternative praticabili significa mettere in difficoltà famiglie e imprese. E imporre sacrifici scollegati dalla realtà non porta alla transizione, ma al rigetto.

La sostenibilità funziona solo se tiene insieme tre dimensioni: beneficio economico, esigenze produttive e creazione di valore per comunità e ambiente.

Mettere in crisi le imprese o obbligare i cittadini a scelte impraticabili non è un atto di coraggio ecologico: è il modo più sicuro per far fallire la transizione.

Mobilità come cultura, non come slogan

La bicicletta resta uno strumento importante, ma è efficace solo se inserita in una visione più ampia, fatta di trasporto pubblico moderno, di pianificazione urbana intelligente, di equilibrio tra libertà individuale e bene collettivo.

La verità è che la mobilità non si impone, si progetta. Con pragmatismo, con visione, con umiltà. Non per ideologia, ma per costruire città dove sostenibilità significhi davvero qualità della vita, libertà di scelta e benessere condiviso.

Chi è l'autore

Lapo Secciani

Sono un imprenditore, un manager e un creativo.
Non seguo gli schemi: li rompo.
Credo nelle persone, nel loro talento e nella loro unicità.
Il mio lavoro e le mie competenze tendono a far emergere il valore delle aziende e delle persone, disegno strade inesplorate e così genero valore: per le persone, per la comunità, per l’ambiente e per le aziende.
Mi ispiro a due modelli: Sergio Marchionne e Adriano Olivetti.

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