una scuola che liberi i talenti e costruisca comunità ecocentriche

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Costruire una società ECO-centrica non è un’ideologia né un’utopia. È una necessità urgente.
Una necessità che inizia da un atto fondamentale: riformare profondamente il nostro sistema educativo.

La società che vogliamo costruire non può più essere basata sulla competizione sterile, sulla ricerca della visibilità o sulla standardizzazione degli individui. Deve fondarsi sull’idea che ogni persona è parte viva di un ecosistema umano, dove i talenti si intrecciano, si contaminano, si moltiplicano in un equilibrio dinamico.
È tempo di educare all’ecocentrismo: alla consapevolezza che il valore del singolo si esprime pienamente solo nel NOI.

L’homo ECO-centrico è colui che riconosce di essere nodo attivo di un tutto. Che agisce pensando all’impatto delle proprie scelte sulla comunità, sugli altri, sull’ambiente e su sé stesso.
È l’essere umano capace di coltivare il proprio talento non per affermarsi contro, ma per costruire insieme.

Perché questo paradigma possa radicarsi, è indispensabile riformare la scuola.
Non una riforma tecnica o burocratica. Non un maquillage normativo.
Serve un ripensamento profondo, radicale, culturale.

La scuola moderna che conosciamo – con le sue lezioni frontali, i banchi in fila, la lavagna e il grembiule – ha preso forma tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, rispondendo alle esigenze della seconda rivoluzione industriale.
Quel modello educativo era funzionale a un’economia fordista: doveva formare individui disciplinati, omologati, pronti a lavorare in una fabbrica standardizzata. La scuola era il primo anello della catena produttiva: standardizzazione, ordine, obbedienza.

Ma oggi il mondo è radicalmente cambiato.
Le fabbriche sono flessibili e automatizzate, il modo di muoversi è passato dai cavalli agli aerei supersonici, il vestiario, le abitudini, le modalità di comunicazione sono irriconoscibili rispetto a due secoli fa.
Eppure la scuola, troppo spesso, è rimasta ancorata a quel vecchio modello: file di banchi, un solo insegnante che parla, una didattica fondata sull’uniformare più che sul liberare.

La scuola, invece, deve ripensare il suo ecosistema.
Deve rispondere alle esigenze dei giovani di oggi: formare capacità, sviluppare motivazioni, coltivare competenze adatte a una realtà dinamica, relazionale, complessa.
Deve essere un laboratorio di scoperta e crescita, capace di valorizzare i talenti specifici di ogni individuo e di aiutare ciascuno ad accettare anche le proprie mancanze, le proprie fragilità, come leve di collaborazione e di costruzione collettiva.

Educare oggi significa insegnare a vivere nel NOI, non a competere nell’IO.

La scuola non deve aver paura di essere giudicata.
Deve avere il coraggio di liberare.
Deve stimolare nei ragazzi la curiosità e il dubbio, strumenti indispensabili per cercare risposte autentiche, per esplorare in profondità il mondo e sé stessi, per costruire una propria identità solida, autonoma, non modellata dai social, dagli influencer o dai modelli effimeri dell’apparenza.

Una scuola ecocentrica non misura il successo con voti o medie aritmetiche.
Lo misura con la capacità di formare persone in grado di stare nel mondo con coerenza, con relazionalità, con intelligenza collettiva.

Ma per dare vita a questa radicale trasformazione la scuola da sola non basta.

Serve una nuova alleanza educativa. Serve una scuola partecipata, co-generativa, in cui famiglie, imprese, comunità e territori siano coinvolti nel costruire modelli formativi che riflettano la complessità della vita reale.
Serve un patto educativo in cui il sapere non sia separato dal saper fare, e il saper fare sia inseparabile dal saper essere.

La scuola italiana ha storicamente una grande forza nella trasmissione delle hard skill: logica, matematica, lingua, disciplina. È un patrimonio prezioso, da difendere.
Ma oggi serve un passo in più: dobbiamo far fiorire le soft skill, stimolare l’empatia, l’adattabilità, la creatività, la capacità di cooperare, di scegliere, di trasformare ciò che si conosce in qualcosa che serve davvero, in base al contesto e alle persone con cui ci si relaziona.

È necessario che le imprese partecipino ai percorsi formativi non solo come sponsor o potenziali datori di lavoro, ma come luoghi educanti.
Occorre che le famiglie, grazie a un’interlocuzione scuola-famiglia diversa, diventino parte attiva del progetto formativo e non solo clienti del servizio.
Le comunità hanno il dovere di contribuire, coinvolgendo gli studenti nel vivere gli spazi, le esperienze e le relazioni che il territorio può offrire.

Solo così potremo costruire un ecosistema educativo dove si apprende ovunque, e ogni contesto diventa palestra di umanità. Dove la scuola è viva, porosa, connessa.
Dove si educa insieme. Dove si cresce insieme.

Riformare la scuola significa, allora, accettare la sfida della complessità, senza rinchiudersi in protocolli o voti, ma abitando con coraggio l’incertezza, le domande, le relazioni.

Significa scegliere di costruire una cultura della co-responsabilità, in cui ognuno educa l’altro e viene educato, in un dialogo continuo tra generazioni, competenze, mondi.

Perché solo educando in questo modo potremo costruire una società viva, generativa, profondamente umana.

E il futuro, allora, sarà davvero nostro.

Chi è l'autore

Lapo Secciani

Sono un imprenditore, un manager e un creativo.
Non seguo gli schemi: li rompo.
Credo nelle persone, nel loro talento e nella loro unicità.
Il mio lavoro e le mie competenze tendono a far emergere il valore delle aziende e delle persone, disegno strade inesplorate e così genero valore: per le persone, per la comunità, per l’ambiente e per le aziende.
Mi ispiro a due modelli: Sergio Marchionne e Adriano Olivetti.

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