Il lavoro che manca: dall’ascensore sociale rotto al bisogno di una nuova cultura d’impresa

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Un giovane su quattro in Italia pensa di cambiare lavoro nei prossimi sei mesi. A dirlo è il rapporto Grafton di Excellera Intelligence: una fotografia nitida di un mercato del lavoro dove l’insicurezza economica e contrattuale è il vero motore delle scelte, mentre motivazioni come valori aziendali, opportunità all’estero o desiderio di cambiare settore restano marginali.

Dietro questo dato, che riguarda soprattutto i più giovani, si cela però un problema molto più ampio: il lavoro in Italia non è più percepito come quel dovere morale in cui realizzarsi, né come strumento di emancipazione sociale. L’ascensore sociale si è fermato da tempo, come raccontano numerosi studi: solo 3 italiani su 10 pensano che i propri figli avranno un futuro migliore.

Giovani e anziani, due mondi che non si parlano più

Da un lato, le nuove generazioni attratte dal digitale rischiano di perdere contatto con la realtà concreta fatta di fabbriche, cantieri, botteghe e uffici: un mondo difficile, con storture da correggere, ma pur sempre il luogo in cui si produce valore reale. Dall’altro, le generazioni precedenti, concentrate sull’accumulo individuale, non sono riuscite a costruire un patrimonio condiviso e trasmissibile. È venuto meno quel patto implicito in cui i vecchi insegnavano e i giovani ascoltavano (anche per poi disobbedire), ma comunque cresceva un travaso di esperienze e visioni.

Oggi lo strappo è profondo: i giovani diffidano dei modelli dei padri, i padri non comprendono le aspirazioni dei figli. Il risultato è una società in cui nessuno si riconosce più nell’altro: giovani e anziani, imprese e lavoratori, istituzioni e cittadini. Una frattura che non è solo culturale, ma che ha effetti concreti sul blocco sistemico che ormai affligge il mondo e il mercato del lavoro, rendendolo incapace di evolvere e di offrire reali opportunità di crescita.

L’Italia delle imprese ferme a metà

In questo contesto il ruolo dell’impresa è decisivo. Il modello italiano fatto di PMI porta con sé punti di forza unici – creatività, flessibilità, capacità di adattarsi e innovare – ma anche debolezze strutturali: scarsa managerializzazione, regolamenti interni poco chiari, processi fondati sul “si è sempre fatto così” e non sulla condivisione di metodologie misurabili, replicabili e migliorabili. Senza una crescita di maturità organizzativa, le aziende rischiano di non saper valorizzare né i giovani né i senior, trasformando il lavoro in un mero contratto a tempo invece che in un percorso di crescita.

Cosa serve per far ripartire il lavoro come ascensore sociale

Le politiche attive del lavoro e gli investimenti pubblici sono indispensabili, ma non sufficienti. Serve ricostruire una cultura del lavoro che tenga insieme diritti e doveri, individui e comunità, persone e impresa. Qui i modelli di Adriano Olivetti e Sergio Marchionne tornano a parlare con forza.

Olivetti ci ricorda che l’impresa è prima di tutto un luogo in cui l’essere umano trova la sua identità, un laboratorio di comunità e di futuro condiviso. Marchionne ci ricorda che il lavoro resta un dovere morale: impegno, responsabilità, sacrificio per costruire non solo il proprio destino, ma anche quello dell’azienda e della società.

Unendo queste due visioni, possiamo immaginare un’Italia in cui il lavoro torni a essere ascensore sociale, strumento di emancipazione e realizzazione, e le imprese diventino non solo luoghi di produzione, ma di formazione e appartenenza.

Il patto da ricostruire

Il lavoro in Italia potrà rinascere solo se tornerà ad essere un patto tra generazioni, tra persone e imprese, tra diritti e responsabilità. Non basta cambiare occupazione in cerca di un contratto migliore: bisogna ridare dignità e senso al lavoro, ricucendo lo strappo culturale che oggi separa giovani e anziani, dipendenti e imprenditori, cittadini e istituzioni. Solo così il lavoro potrà tornare ad essere, per ciascuno, il luogo in cui si diventa sé stessi e, per tutti, la base di un futuro più giusto e condiviso.

Chi è l'autore

Lapo Secciani

Sono un imprenditore, un manager e un creativo.
Non seguo gli schemi: li rompo.
Credo nelle persone, nel loro talento e nella loro unicità.
Il mio lavoro e le mie competenze tendono a far emergere il valore delle aziende e delle persone, disegno strade inesplorate e così genero valore: per le persone, per la comunità, per l’ambiente e per le aziende.
Mi ispiro a due modelli: Sergio Marchionne e Adriano Olivetti.

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