
Milano, la città che non abita più se stessa
Sono entrato nel mondo dell’edilizia poco più di un anno fa; da febbraio 2024 ricopro il ruolo di Direttore Generale in Ingegneria Emiliana srl SB.
Mi sono approcciato a questo straordinario mondo convinto che il nostro ruolo – attraverso la progettazione e la realizzazione di luoghi pensati per le persone – fosse quello di contribuire al miglioramento della società. Di accompagnare, con il nostro lavoro quotidiano, l’evoluzione dell’uomo verso una nuova consapevolezza: quella dell’homo ECO-centrico, capace di abitare il mondo senza consumarlo.
Poi ogni tanto arriva una doccia fredda, o forse solo un richiamo alla realtà che era lì, sotto gli occhi di tutti. L’articolo di Francesco Cancellato su Milano è esattamente questo: un atto di verità.
Finalmente qualcuno ha avuto il coraggio di dire con chiarezza ciò che da anni si vede, si sa, ma si finge di non sapere:
le case non si costruiscono più per viverci, le città non si costruiscono più per chi le abita.
F. Cancellato
Si costruisce per costruire. Per vendere. Per valorizzare. Per monetizzare.
Una logica dominata dall’homo ego-centrico, per cui gli interessi finanziari prevalgono su ogni scopo comunitario. Una logica che svuota le città e le coscienze, lasciandoci aggrappati a numeri, rendimenti, metri quadri e ROI, mentre intorno si spegne la relazione tra luoghi e persone.
Eppure, tutto questo non fa vacillare la mia passione.
Al contrario.
Rafforza la convinzione che il futuro dell’edilizia passi dal recupero di una dimensione “humana”, dove si costruisce con uno scopo, per una comunità, in un contesto relazionale e culturale.
E che proprio le medie e piccole imprese, se dotate di una visione manageriale, etica e visione, siano oggi le più adatte a incarnare questa transizione. Perché non inseguono gli appetiti dei fondi, ma ascoltano i bisogni reali e i sogni delle persone. Perché non rincorrono icone architettoniche da copertina, ma rigenerano luoghi da vivere.
L’articolo di Cancellato è per me una conferma.
Che l’approccio in cui credo, che l’impronta che cerco di lasciare, siano la strada giusta per costruire città più eque, sostenibili e finalmente ECO-centriche.
Dall’abitare al capitalizzare: il cortocircuito della rendita
Milano, come molte metropoli globali, è oggi attraversata da un paradosso: si costruisce ovunque, eppure manca casa. Cresce il PIL edilizio, ma si svuota il senso dell’abitare. Si ristrutturano quartieri, ma si spostano persone. Le icone architettoniche diventano sfondi per le stories, ma nessuno racconta più la vita reale dei luoghi.
Il fondo immobiliare sostituisce la famiglia, il progetto urbanistico sostituisce il progetto sociale, il metro quadro sostituisce la comunità.
È il trionfo di ciò che chiamo homo ego-centrico: un essere umano che vede il mondo come un insieme di risorse da convertire in profitto individuale. E che finisce per vivere in città che non vivono più.
Homo ECO-centrico: un altro modo di costruire è possibile
Ma non è questa la sola via. C’è un altro modello possibile, e non è un’utopia: è una direzione concreta, già praticabile.
È la via dell’homo ECO-centrico, capace di progettare e costruire in equilibrio dinamico con l’ambiente, con le persone e con i tempi lunghi della cura.
In questo modello:
- le case tornano ad essere luoghi dell’abitare, e non strumenti di rendita;
- l’impresa torna ad essere corpo intermedio, generatore di valore condiviso e non solo utili per pochi;
- la città torna ad essere comunità complessa e viva, fatta di spazi che si abitano, si attraversano, si ricordano.
Questa è la visione con cui ogni giorno proviamo a lavorare, anche nella nostra realtà di impresa benefit, Ingegneria Emiliana. Lo abbiamo scritto nel nostro manifesto per una rigenerazione urbana sostenibile:
“Rigenerare significa rimettere in relazione. Gli spazi con le persone. Le persone tra loro. Le architetture con i ritmi della natura. La bellezza con l’utilità. L’economia con la giustizia.”
Manifesto #INGEM
Non è un’idea poetica: è un’idea politica, tecnica, economica.
E si può realizzare.
Cosa serve davvero per cambiare rotta
Il caso di Milano ci mostra cosa succede quando si perde la rotta. Ma ci offre anche la possibilità di ridefinirla.
Perché cambiare si può, se si agisce su alcuni nodi:
- Ripensare il ruolo dell’impresa: basta aziende costruttrici senza responsabilità territoriale. Serve un’impresa radicata, alleata della città, responsabile verso chi verrà.
- Riformare la fiscalità immobiliare: non può essere più conveniente per un fondo speculativo comprare, svuotare e rivendere, rispetto a chi vuole ristrutturare per vivere.
- Affermare il diritto alla casa come diritto alla città: ogni progetto urbanistico dovrebbe partire da questa domanda “Chi potrà abitare davvero questo spazio?”
- Integrare progettazione e impatto sociale: edilizia e urbanistica non possono più essere tecniche neutrali. Sono atti politici, culturali, umani.
- Riformare la fiscalità immobiliare: non può essere più conveniente per un fondo speculativo comprare, svuotare e rivendere, rispetto a chi vuole ristrutturare per vivere.
- Affermare il diritto alla casa come diritto alla città: ogni progetto urbanistico dovrebbe partire da questa domanda “Chi potrà abitare davvero questo spazio?”
- Integrare progettazione e impatto sociale: edilizia e urbanistica non possono più essere tecniche neutrali. Sono atti politici, culturali, umani.
Da Milano a tutte le città: il bivio è ora
Quello che accade a Milano – tra torri scintillanti e case vuote, fondi miliardari e famiglie espulse – non è un caso isolato. È un destino globale, se non invertiamo la rotta.
Ma non tutto è perduto. Perché ogni volta che un’impresa sceglie la corresponsabilità anziché la rendita, ogni volta che un progetto rigenera anziché gentrificare, ogni volta che un quartiere torna a essere casa e non investimento, una città si rimette in moto davvero.
Il futuro non può essere un asset quotato. Deve tornare ad essere un luogo da abitare insieme.