
Una battaglia giusta con strumenti sbagliati (o insufficienti)
Garantire stipendi dignitosi è un principio sacrosanto.
Ma pensare che basti alzare per legge il salario minimo per migliorare la vita delle persone significa guardare il problema solo in superficie.
Perché il vero nodo non è quanto si obbliga a pagare un salario, ma se e come il sistema produttivo è in grado di sostenerlo, generando ricchezza, innovazione e futuro.
Altrimenti il salario minimo rischia di essere una misura controproducente: appesantisce i costi, rallenta la crescita e disincentiva gli investimenti, soprattutto in un tessuto economico complesso e delicato come quello italiano, dove le PMI costituiscono oltre il 90% delle imprese e spesso non hanno la forza manageriale per trasformare un costo in opportunità di crescita.
Un salario più alto senza crescita rischia di trasformarsi in un’illusione di benessere, pagata con la chiusura di tante piccole imprese e la perdita di posti di lavoro.
Prima (e insieme) serve costruire il terreno fertile
Adriano Olivetti diceva che “la fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi e democrazia”.
Ma per distribuire qualcosa, prima bisogna crearlo.
Oggi in Italia manca un piano industriale nazionale capace di:
- Valorizzare e far crescere le PMI, aiutandole a superare la frammentazione e ad aumentare produttività e competitività;
- Abbassare strutturalmente il costo del lavoro, riducendo la distanza tra quanto un’impresa spende e quanto un lavoratore porta a casa. Il cuneo fiscale italiano resta uno dei più alti d’Europa;
- Incentivare chi assume e investe, premiando il coraggio imprenditoriale e la capacità di creare occupazione stabile e qualificata, con crediti d’imposta stabili e riduzione degli oneri burocratici;
- Premiare il merito e la produttività reale, defiscalizzando i premi di risultato e favorendo contratti di partecipazione agli utili.
Marchionne ricordava che “il lavoro non è un diritto: è il risultato di un sistema che funziona, che sa creare opportunità”.
Ecco il punto: i diritti devono camminare insieme ai doveri e alle responsabilità di tutti, imprese e lavoratori.
Superare il muro contro muro: l’impresa è un ECO-sistema
L’Italia resta bloccata in uno schema vecchio e sterile: imprenditori da una parte, lavoratori dall’altra. Contrapposti, sfiduciati, divisi.
Ma questa è una visione superata.
L’impresa deve diventare un ECO-sistema, e questa per me è una condizione imprescindibile per garantire un futuro sostenibile — economico, sociale e ambientale — al nostro Paese.
Un ecosistema in cui chi lavora e chi investe si assumono insieme il compito di costruire valore.
Non ci sono “padroni” e “dipendenti”, ma persone corresponsabili, che condividono risultati, rischi e opportunità.
È questa corresponsabilità a generare futuro.
Le imprese devono essere sostenute nella transizione digitale e green, nella crescita dimensionale e nella formazione manageriale, così da creare un ambiente favorevole alla crescita salariale stabile e sostenibile, non imposta dall’alto.
Salario minimo: necessario, ma non sufficiente
Il salario minimo serve, ma non può essere il cuore della strategia salariale di un Paese.
Deve essere il punto di partenza, non il traguardo.
Se non creiamo imprese più forti, capaci di stare sul mercato globale, e se non riduciamo i costi impropri che gravano sui salari, aumentare per legge gli stipendi rischia di:
- Far chiudere le imprese più fragili, soprattutto nei settori a basso margine;
- Ridurre gli investimenti e la competitività, in un mercato internazionale sempre più selettivo;
- Alimentare il lavoro sommerso, dove i minimi salariali diventano inapplicabili nella pratica.
Un Paese che non cresce non può pagare salari più alti senza distruggere la propria base industriale.
Conclusione: serve una visione di corresponsabilità
Non servono più tavoli contrapposti tra chi “chiede” e chi “dà”.
Serve un patto nuovo, in cui imprese e lavoratori si riconoscono corresponsabili della crescita e del benessere collettivo.
Dove il salario dignitoso è il frutto di un’economia sana e di imprese forti, non solo il risultato di una norma imposta dall’alto.
Come ogni ECO-sistema vivo, anche l’impresa ha bisogno di cura, rispetto e crescita condivisa.
Solo così potremo costruire un futuro più giusto per tutti, non solo per qualcuno.
E ora? Il resto verrà, se avremo il coraggio di iniziare.
Il salario dignitoso non si impone: si costruisce.
Serve un nuovo patto di crescita: imprese, lavoratori e istituzioni devono smettere di difendere rendite di posizione e cominciare a costruire insieme futuro e opportunità.
Non basta redistribuire ciò che c’è: bisogna avere il coraggio di generare ciò che manca.