La cosa pubblica, la cosa di tutti

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La passione per la cosa pubblica l’ho eredita da mio nonno, l’ho coltiva grazie al confronto con mio padre ed è maturata nel fare quotidiano, nelle scelte economiche e sociali che -come imprenditore e manager- continuamente devo fare, ma soprattutto è maturata vivendo.

Ho compreso, ho capito che ognuno di noi deve interessarsi alla cosa pubblica, deve essere parte attiva nella costruzione di quel futuro che è il nostro presente.

La passione per la cosa pubblica non è una scelta di carriera o un percorso di lavoro, ma è una sensibilità, una vocazione che ti impegna e ti assorbe, che porta più a farti domande che darti risposte.

Le risposte, a queste domande, non le trovi dentro di te, le puoi trovare o ipotizzare solo grazie al confronto con il prossimo.

La passione per la cosa pubblica si è affievolita, la nostra società ha perso interesse per il bene comune.

Le agiatezze, il tempo, il crescente livello di benessere ci hanno fatto dimenticare le fatiche, il sudore, il sangue che i nostri nonni, i nostri avi hanno versato per permetterci oggi di avere diritti che pochi anni fa non esistevano e di vivere in una società che (per ora) permette a tutti di esprimere la propria idea, di migliorare sensibilmente il proprio livello culturale ed economico (almeno fino a poco tempo fa), di essere libero di scegliere chi essere.

Adesso consideriamo normale, alle volte quasi noioso ed inutile, andare a votare, ma fino a poco, pochissimo tempo fa non lo era.

Adesso possiamo scegliere la nostra compagna, il nostro compagno, i matrimoni sono oggi il frutto di una scelta libera di due persone, ma anche questo, non era un tempo così scontato.

La passione per la cosa pubblica l’abbiamo persa quando abbiamo iniziato a dare per scontato le piccole cose, quando ci siamo scordati che ci sono state donne e uomini che hanno sacrificato il loro presente per darci l’opportunità di vivere un futuro migliore.

Oggi invece si svende e si distrugge il futuro delle nuove generazioni a favore di piccoli ed effimeri privilegi garanti alle generazioni passate.

Il mondo si è ribaltato, l’egoismo che ha stretto il nostro animo ci ha resi ciechi verso il futuro, ci ha allontanati dal desiderio di lasciare un segno, di essere un esempio per i più giovani.

Cosa succederà domani non è più un nostro problema; adesso a noi interessa il tutto e subito e per raggiungerlo non esitiamo a barattare il futuro dei nostri figli e quello dei nostri nipoti.

La passione per la cosa pubblica, quel desiderio di essere parte attiva nella società, di incidere nelle scelte che determineranno il mondo di domani è l’unica ancora di salvezza.

Una passione che dobbiamo riscoprire mettendo da parte i nostri egoismi e le nostre indifferenze.

Questa società iperconnessa, questo periodo storico che ci permette di conoscere, scambiare, condividere e informarsi ha scelto di sacrificare sull’altare della vanità (vuota) il nostro spirito critico e la nostra voglia di approfondire.

Alle volte il passato può essere uno spunto per costruire il nostro futuro.

Serve dare un segnale, serve combattere la politica dell’apparire con la forza del fare.

Serve usare parole e mezzi nuovi, perché altrimenti non saremo capaci di costruire una società nuova. In che modo?

Personalmente reputo necessario costruire tavoli aperti, informali, partecipati per discutere di idee, di azioni e di tematiche di interesse.

Serve farlo con il solo obiettivo di creare confronto, consapevolezza, voglia di partecipare.

Torniamo a vivere le piazze e i bar, torniamo a stimolare il dibattito, torniamo a farlo senza la presunzione di avere soluzioni.

Facciamo ciò con la consapevolezza che non si possono avere risposte facili a problemi complessi, facciamo ciò senza pregiudizi, facciamo ciò con la voglia di mettersi in gioco.

Serve l’impegno di tutti.

Viaggio spesso per lavoro.

Ogni volta che arrivo in una città che non è la mia scelgo di spostarmi in taxi.

Lo faccio perché il taxi per me rappresenta un termometro della società, sono persone che “vivono la strada” e che entrano a contatto con molte persone,di etnie, di estrazioni economiche e culturali diverse.

Ogni volta che entro in taxi parlo di politica; non mi interessa affatto se la politica è tema da conversazione cordiale, io parlo di politica perché voglio capire, perché voglio influire e comunicare il mio pensiero.

Ogni volta mi sento dire che c’è una disaffezione e un disinteresse da parte della società verso la politica, che la mia idea del Fare è solo un sogno, è un ideale di un giovane (ringrazio sempre i tassisti che mi considerano ancora giovane).

Tutto questo non mi abbatte, tutto questo mi stimola a parlare ancora e di più con tutti, a dire a tutti che è necessario ritrovare la passione per la cosa pubblica, che è questo il momento di trovare il coraggio e la voglia di impegnarsi.

Ognuno  di noi lo deve fare, perché è del nostro futuro che parliamo; quel tempo in cui tutti noi vivremo il nostro presente.

È il momento di mandare un segnale forte e deciso.

Non possiamo, noi persone del Fare, donne e uomini che dedicano la propria vita a produrre benessere sociale ed economico, lasciare le decisioni a chi ha scelto di apparire.

Non possiamo delegare queste decisioni a chi ha scelto di banalizzare argomenti complessi, di chi pensa che con le sole parole si possa dare risposta a problemi reali, di chi preferisce l’apparenza al fare.

Per noi, generazione del fare, è il tempo di dare voce alle nostre idee, ai nostri valori alla nostra voglia di essere utili; lo dobbiamo fare e fare adesso.

Nel mio lavoro quotidiano tutti i giorni incontro colleghi e colleghe, giovani che hanno deciso di intraprendere o sono in procinto di farlo, collaboratori e collaboratrici, dipendenti e dirigenti di impresa; ogni giorno sono stimolato a essere parte attiva.

Attraverso questo confronto approfondisco esigenze, necessità, idee e punti di vista che faccio miei, che elaboro e a cui provo a dare risposte portando queste istanze su tutti i tavoli.

Scopro così che spesso le risposte arrivano dalla contaminazione con persone, donne e uomini, che apparentemente non c’entrano niente, perché capita spesso che la possibilità di vedere le cose dall’esterno, senza esserne coinvolti, ti da modo di osservare sfaccettature e cose che chi è dentro non vede o da per scontato.

Voglio fare di più, voglio farmi carico pienamente della mia responsabilità sociale che ho, come imprenditore e manager; voglio veramente mettere a disposizione il mio tempo e quella poca esperienza che ho maturato in questi 40 anni.

Lo voglio fare provando a coinvolgere la società, lo voglio fare non indicando i problemi, ma provando insieme a trovare soluzioni.

Lo dobbiamo fare aggregando intorno alla voglia di costruire un progetto utile, non individuando un nemico comune (vero o più spesso immaginario e inventato).

Dobbiamo costruire usando un metodo, un linguaggio, un modo di fare nuovo e diverso, solo così daremo vita e costruiremo qualche cosa di nuovo.

Ognuno di noi lo può fare, iniziando da sé stessi, iniziando dalle piccole cose, cambiando quelle piccole negative abitudini.

I grandi cambiamenti sono duraturi quando sono la somma di tanti piccoli accorgimenti; cambiare una piccola cattiva abitudine è molto più facile che non provare a cambiare il mondo.

Per cambiare (queste piccole cattive abitudine) non serve fare selfie basta semplicemente iniziare.

Il silenzio del Fare, è più incisivo del rumore del dire.

Invece che pontificare dobbiamo far parlare l’esempio.

Io ci sono e insieme possiamo riuscirci, sono disponibile e non mi tiro indietro; se volete scrivetemi: lapo@laposecciani.com

Chi è l'autore

Lapo Secciani

Sono un imprenditore, un manager e un creativo.
Non seguo gli schemi: li rompo.
Credo nelle persone, nel loro talento e nella loro unicità.
Il mio lavoro e le mie competenze tendono a far emergere il valore delle aziende e delle persone, disegno strade inesplorate e così genero valore: per le persone, per la comunità, per l’ambiente e per le aziende.
Mi ispiro a due modelli: Sergio Marchionne e Adriano Olivetti.

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