Per una Politica di valore serve ricostruire il sistema scolastico

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La cultura è quell’elemento che concorre alla formazione dell’individuo sia dal punto di vista intellettuale, che morale e che è alla base all’acquisizione della consapevolezza del ruolo che gli compete nella società.

In senso letterario possiamo dire che è il patrimonio delle cognizioni e delle esperienze acquisite tramite lo studio, ai fini di una specifica preparazione in uno o più campi del sapere; mentre in senso antropologico, possiamo definire la cultura come il complesso delle manifestazioni della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo o di un gruppo etnico, in relazione alle varie fasi di un processo evolutivo o ai diversi periodi storici o alle condizioni ambientali.

Possiamo quindi dire che la cultura è la base su cui costruire la nostra conoscenza. Attraverso la conoscenza si acquisisce consapevolezza, di noi e di ciò che ci succede intorno.

Cultura e conoscenza sono gli strumenti necessari all’identificazione di una politica di valore.

Come possiamo però costruire una classe politica di valore e di qualità, in una società che ha annichilito il dialogo e il confronto, in favore della continua ricerca di visibilità sui social?

Per fare questo occorre investire nella scuola, riformarla profondamente e fondare il nostro sistema educativo sul merito e sulla valorizzazione del talento.

Obiettivo di una profonda riforma scolastica, capace di creare un forte e personale senso critico nei giovani, esaltandone le specificità, a dispetto dell’omologazione, non serve però a creare una nuova classe politica; serve invece a costruire una cittadinanza critica e attenta, capace di riconoscere le inadeguatezze, gli strafalcioni e le fesserie della classe politica.

La riforma scolastica è indispensabile perché l’attuale sistema scolastico di basa su modelli, metodi e strumenti che sono gli stessi da secoli.

Il mondo è cambiato profondamente, basti pensare a una fabbrica o a un’auto del 1890 e a una del 2019, confrontando le due immagini noteremo le profonde differenze, cosa che invece non accade se osserviamo una classe di fine 800 e una dei nostri giorni.

La scuola del domani dovrà essere completamente ripensata, nella sua organizzazione e nella sua filosofia; dovrà essere sempre più specchio di una società liquida, improntata sul continuo mutamento.

Dovrà orientare e sviluppare nei giovani soft skill (ad oggi mai stimolate) indispensabili tanto nel lavoro, quanto nella vita privata; e dovrà anche fornire e costruire hard skill che siano le fondamenta sulle quali i giovani possano costruire la propria consapevolezza e il proprio senso critico.

Per creare giovani consapevoli, capaci di sviluppare un proprio pensiero critico serve però mettere nelle condizioni gli attuali docenti e gli stessi genitori di conoscere e formarsi sulle nuove tecnologie, sulle loro potenzialità, sui rischi e sulle opportunità che essere presentano.

Questo è necessario perché l’attuale generazione di genitori, che ha figli che frequentano le scuole superiori primarie e secondarie, insieme ai docenti, che insegnano loro, non possiedono una cultura digitale adeguata. Il non conoscere impedisce di insegnare e quindi di controllare e, nel caso, di correggere.

Quindi chi deve assumersi il compito di formare genitori e docenti?

Questo compito, credo, spetti alla società civile, in particolare a quella generazione di trenta-quarantenni che lavora e che conosce bene i nuovi strumenti digitali, perché li ha visti crescere, perché ha contribuito a crearli, perché li usa quotidianamente, spesso proprio per lavoro.

Far entrare in contatto la Generazione Z e successive, con i trenta-quarantenni di oggi significa creare una connessione capace di costruire un percorso innovativo e virtuoso che potrà formare giovani: critici e capaci di misurare il valore dell’azione politica.

Una capacità che obbligherà governanti e uomini di stato ad alzare la qualità del proprio agire, poiché un folto pubblico attento, prodotto da scuole di qualità, non avrebbe mai permesso a politici di poco valore -ad esempio- di incoraggiare i no vax e altre correnti irrazionali, oppure di promuovere e percorrere politiche economiche che sviliscono il Saper Fare, il merito e il talento.

Tutto ciò però ha due controindicazioni, soprattutto per chi di politica oggi vive.

La prima è che gli eventuali buoni risultati potrebbero venire fuori solo nel medio-lungo termine.

La seconda è che questa strada non sarà percorribile fin quando gli attuali governanti continueranno a voltarsi dall’altra parte, a far finta di nulla o ad annoiarsi, quando si solleva l’argomento.

Ecco, quindi, che mi chiedo se, invece di fare lunghi e, a mio avviso, noiosi e inutili discorsi, dibattiti, convegni, workshop e tavoli di lavoro su cosi significhi Riformismo, su quale sia il futuro del Riformismo, sull’esatto posizionamento del Riformismo nell’arco politico destra-sinistra, non si inizi a fare concretamente politiche riformiste.

Essere riformisti oggi, per me, non significa essere di destra o di sinistra.

Essere riformisti oggi, significa seguire strade scomode, che guardano al futuro e al domani, capaci di produrre risultati duraturi.

La prima cosa da fare è ripensare e rimodulare il sistema scolastico, dando vita a un percorso capace di immettere nella società cittadini consapevoli e dotati di un proprio senso critico.

Questo percorso sarebbe ancora più riformista, se affrontato guardandolo e costruendolo in un’ottica di condivisione europea.

Un grande riformista del passato disse: “Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione.”

Quel riformista era Alcide De Gasperi.

Essere riformisti significa guardare alla prossima generazione, per guardare alle prossime generazioni si deve partire dalle fondamenta, quelle fondamenta sono la scuola.

Essere riformisti significa avere Coraggio.

Chi è l'autore

Lapo Secciani

Sono un imprenditore, un manager e un creativo.
Non seguo gli schemi: li rompo.
Credo nelle persone, nel loro talento e nella loro unicità.
Il mio lavoro e le mie competenze tendono a far emergere il valore delle aziende e delle persone, disegno strade inesplorate e così genero valore: per le persone, per la comunità, per l’ambiente e per le aziende.
Mi ispiro a due modelli: Sergio Marchionne e Adriano Olivetti.

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