
L’oggi che viviamo è un vero e proprio cambio di epoca, non un epoca di cambiamenti.
La pandemia da cui siamo usciti ci ha segnato in modo evidente; accelerando un processo che già era in atto e accentuato dalla rapidità con cui cambiano gli scenari socio-politici internazionali.
Stiamo assistendo a un momento cruciale -un cambio di epoca appunto- per la storia dell’umanità.
Siamo a un bivio.
Da una parte una società ECO-centrica, capace di riscoprire il valore della contaminazione, della condivisione e della compartecipazione; un futuro dove il NOI prevale sull’io e dove le persone ritrovano il desiderio di vivere la comunità.
Dall’altra parte, invece, si sta rafforzando l’idea di un mondo ego-centrico, fondato su istinti e pulsioni egoistiche, dove l’IO domina sul noi e dove si è persa la dimensione collettiva.
In questo scenario si sta affermando un modello di gestione d’impresa improntato sulla sostenibilità: ambientale, sociale ed economica (di governance).
Un modello che, a seconda di come interpretato e governato, può essere una grande opportunità di riscoperta del ruolo sociale dell’impresa e dello sviluppo di comunità partecipate, oppure può rappresentare lo specchietto per le allodole capace di ingabbiare e soffocare persone e imprese.
In questa frattura, tra un mondo ECO-centrico e uno ego-centrico, quando parliamo di imprese sostenibili emergono tutti i rischi reputazionali, oggi sempre più evidenti e significativi.
Una condizione che sottolinea sia quanto è importante attuare pratiche di sostenibilità reali e concrete, tangibili e comprensibili per la comunità e le persone, che la necessità di comunicare le azioni di sostenibilità intraprese in modo genuino, allontanandosi da un gergo troppo tecnico e “burocratichese”, per risultare affidabili e credibili: alle persone, alla comunità e a tutti gli attori coinvolti.
Semplificare è la chiave per essere chiari, quando siamo chiari diventiamo credibili.
Fare sostenibilità non è un esercizio di stile, non si tratta di rispondere a normative e di adempiere ad obblighi; fare sostenibilità significa fare cose concrete e tangibili che migliorano la qualità della vita delle persone, della comunità e dell’ambiente.
Comunicare in modo genuino, utilizzando un linguaggio comprensibile e vicino alla nostra comunità e alle persone, permette di dar vita a una narrazione, delle proprie azioni di sostenibilità, autentica e vera.
Comunicare in modo genuino significa essere chiari e quindi credibili in quel che facciamo e nei risultati che raggiungiamo.
La necessità di essere veri e autentici non è solo un imperativo etico, ma -se fatto in modo genuino- diventa un reale e concreto vantaggio competitivo capace di creare valore economico: per le imprese e le organizzazioni in generale, ma anche e soprattutto per le persone e la comunità.
La rendicontazione degli impatti positivi, generati dalle azioni messe in atto dall’impresa, ha la finalità di far emergere quale e quanto grande è il valore prodotto.
Quando un’azienda rendiconta le proprie azioni di sostenibilità, misurando il proprio impatto, si rivolge ai propri stakeholder: persone, imprese, una comunità che ha bisogno di comprendere in modo chiaro e semplice i vantaggi che, quelle azioni intraprese, hanno prodotto.
L’azienda, con il proprio report di sostenibilità (o valutazione d’impatto), comunica con delle persone reali, che vivono, lavorano e si evolvono all’interno di quella comunità di cui fa parte anche l’impresa; non comunicano invece con burocrati interessati alla forma a dispetto della sostanza, concentrati sulla costruzione di architetture, norme e obblighi che spesso appesantiscono l’azione (pro)positiva di un’impresa.
Un’azienda che fa sostenibilità questo deve ricordarselo.
Le normative e gli adempimenti non sono il fine, ma il mezzo con cui raggiungere il proprio obiettivo: dimostrare che le azioni intraprese, in materia di sostenibilità, sono reali e concrete e comunicare alle persone e agli attori coinvolti i benefici raggiunti.
Il tutto in maniera genuina, chiara e vera; in poche parole con semplicità.
O le imprese -ma soprattutto i consulenti- comprendono che è imperativo superare la visione della sostenibilità quale mero adempimento burocratico, promuovendo invece un approccio genuino, umano e semplice, ma capace di seguire percorsi basati su metodi replicabili e “scientifici”; oppure la sostenibilità tutta affonderà sotto la crescente diffidenza delle persone verso una burocratizzazione che ha il solo fine di rendere tutto più fumoso, difficile e complicato,
Una condizione evidenziata in modo lapalissiano dalla crescente richiesta di autenticità da parte del mercato e delle persone, specialmente tra le nuove generazioni, sempre più scettiche nei confronti delle dichiarazioni ESG aziendali, in particolare di quelle prodotte dalle grandi multinazionali.
La comunicazione e la rendicontazione della sostenibilità, così come gli ormai famigerati ESG, non possono limitarsi a una mera strategia di marketing e comunicazione, ma devono riflettere un impegno concreto e reale, che sia comprensibile per la comunità e misurabile grazie a metodi e metodologie pensati per le persone e non per i burocrati. O comunichiamo la sostenibilità in modo genuino, come la cucina “della nonna”, che può essere semplice ma è sempre vera (e buona), rafforzando la possibilità di costruire un futuro ECO-centrico, basato su comunità condivise; oppure scegliamo un linguaggio complesso, che piace ai burocrati e a chi vuole spingerci dentro un futuro ego-centrico.