Sostenibilità insostenibile vs Sostenibilità “della nonna”.

S

La moda del momento? La sostenibilità.

Al mercato dell’apparire si vende: ESG, bilanci o report di sostenibilità, transizione alla sostenibilità e poi ancora vediamo post, articoli, convegni infarciti di bellissime parole come: energie rinnovabili, economia circolare, normativa CSRD, VSME, CSDDD e chi più ne ha, più ne metta.

Insomma la sostenibilità è diventata una fiera nata dall’unione tra un tendone delle meraviglie, un bazzar dove si vendono le peggiori paccottiglie, un circo di guitti e l’ufficio dell’avvocato azzeccagarbugli.

Venghino, signori -anzi signorə– venghino. Oggi e solo per oggi, offriamo consulenti, esperti, intransigenti, guru, facilitatori. Basta chiedere e troverete tutto”.

Tutto ciò che serve a rendere insostenibile la sostenibilità.

Il mondo della sostenibilità non è tutto così, ci sono tanti, tantissimi professionisti capaci e competenti che supportano le imprese, permettendo loro di fare sostenibilità reale ed evitando di fargli fare solo burocrazia inutile, ma -nonostante questo- il mondo della sostenibilità rischia di perdere di valore grazie a normative insostenibili e consulenti incapaci di fare sostanza.

La sostenibilità, sociale e ambientale, è senza dubbio importante, anzi condivisibile ed è effettivamente vitale per la un Pianeta che vuole rimanere (o tornare ad essere) sano.

La sostenibilità, anche quella burocratica, analizza sempre tre aspetti -i famosi ESG- che rimandano a tre dimensioni diverse, ma interconnesse tra loro:

  • Environmental (ambiente)
  • Social (società)
  • Governance

Ecco proprio una di queste dimensione, la Governance, ci dice che la sostenibilità, per essere tale, deve essere prima economica; perché se i numeri non tornano non ci potrà mai essere una sostenibilità sociale e men che meno una sostenibilità ambientale.

Questo gli amici burocrati dovrebbero tenerlo a mente, quando scrivono le norme.

Si, è vero, la normativa VSME alleggerisce quel mattone, anzi ghigliottina, che è la CSRD e che rischia di far affondare l’ECO-sistema delle piccole (e medie) imprese che -in Italia- rappresentano oltre il 90% del tessuto socio-economico del Paese, ma se la sostenibilità non fa proprio un linguaggio meno tecnico e burocratico, in favore di una comunicazione più snella, il risultato sarà il medesimo: la transizione alla sostenibilità fallirà e perderemo tutti, come collettività, una grande opportunità.

Quindi, se non vogliamo lasciare ulteriore spazio a una visione della società ego-centrica, ma vogliamo sostenere e promuovere -invece- un modello ECO-centrico, sappiamo cosa non dobbiamo fare.

Non dobbiamo essere burocratici, non dobbiamo fare burocrazia, non dobbiamo appesantire le imprese e gli imprenditori.

Perché dico questo?

Perché se è vero che la politica sostiene questa transizione, che numerosi esperti ci spiegano, in altrettanti convegni (tutti leggerissimi e coinvolgenti), come declinare al meglio i concetti di sostenibilità, sottesi agli slogan, e imprenditori e manager si convincono che sia la strada giusta per tutelare il pianeta e la salute delle generazioni future; quando ci troviamo nella pratica e si prova a tradurre in azioni concrete i numerosi concetti appresi ci si scontra contro la burocrazia e l’ignoranza.

Due condizioni che, per complicare la vita, spesso si rafforzano e si alimentano tra loro, diventando un muro invalicabile di procedure, preconcetti, integrazioni inutili, perdite di tempo e -anche e soprattutto- di soldi.

Che spettacolo -“venghino signori venghino”- straordinario è questa insostenibile sostenibilità.

Buttiamo via la più grande opportunità -per il nostro Paese, l’Italia- di ritrovare quell’anima industriale che ci ha permesso di dare vita al “miracolo italiano”, che ha fatto grande il marchio Made in Italy e che poggia sulle nostre piccole e medie imprese, sul talento delle persone che le vivono, sui loro sogni e su una praticità e una sostanza che -a quel tempo- non veniva soffocata da un’inutile burocrazia.

O torniamo all’essenziale e alla praticità e allora la sostenibilità sarà un impulso nella costruzione di un domani ECO-centrico, oppure siamo destinati a scivolare su inutili norme, adempimenti e obblighi di una burocrazia capace solo di alimentare una visione sempre più ego-centrica.

Le normative europee non sono tutte da buttare via, spogliate del superfluo hanno tanto di buono; ci sono all’interno metodologie di rendicontazione che in realtà sono straordinari strumenti di management.

Pratiche e metodologie che, se usate con raziocinio, sono uno straordinario strumento per rafforzare e consolidare una cultura manageriale che-onestamente- è il vero punto debole della nostra impresa.

La sostenibilità può permettere alle imprese italiane di supportare lo sviluppo di una cultura manageriale cucita ad hoc sulle dimensioni e sulla storia delle nostre imprese, in contrapposizione alla tracotanza e supponenza di uno stile manageriale importato e promosso dalle “big four”, le grandi società di consulenza che ormai di impresa non si occupano più, essendosi “vendute” alla finanza.

In conclusione. Il mondo della sostenibilità, sta vivendo lo stesso confronto che sta vivendo la nostra società.

O torniamo all’essenziale guardando a un approccio più ECO-centrico oppure ci perdiamo in un’insostenibile burocrazia che alimenterà un modello -già in uso- ego-centrico e tossico. La scelta è semplice e spesso le cose semplici sono sempre le migliori; come i piatti della nonna.

Chi è l'autore

Lapo Secciani

Sono un imprenditore, un manager e un creativo.
Non seguo gli schemi: li rompo.
Credo nelle persone, nel loro talento e nella loro unicità.
Il mio lavoro e le mie competenze tendono a far emergere il valore delle aziende e delle persone, disegno strade inesplorate e così genero valore: per le persone, per la comunità, per l’ambiente e per le aziende.
Mi ispiro a due modelli: Sergio Marchionne e Adriano Olivetti.

Commenta

Categorie

Archivi